Area Lavoro – Pubblicazione ed entrata in vigore del Decreto Legge 21 ottobre 2021 n. 146

Decreto Legge 30 Giugno 2021 N. 99 Decreto Lavoro E Imprese

Il Decreto Legge 21 ottobre 2021 n. 146, pubblicato in pari data in Gazzetta Ufficiale ed entrato in vigore il giorno seguente, disponendo varie misure in materia fiscale e di tutela del lavoro, ha previsto fra le altre cose, interessanti novità in tema di quarantena con sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato, di congedi parentali, di trattamenti di integrazione salariale e di divieto di licenziamento .

Alla luce di ciò, il presente documento si prefigge di esaminare in breve le più significative novità previste, rimandando ad eventuali successivi approfondimenti e integrazioni in caso di pubblicazione di nuovi chiarimenti e/o interventi legislativi .

1. Sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato (art. 8)

Il nuovo Decreto Legge, all’art. 8, intervenendo sull’art. 26 del D.L. n. 18/2020 (convertito con modificazioni in L. n. 27/2020), prevede che:

• fino al 31 dicembre 2021, il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia e non è computabile ai fini del periodo di comporto (art. 26, comma 1, D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni in L. n. 27/2020);

• dal 31 gennaio 2020 al 31 dicembre 2021 per le tutele disposte dall’art. 26 del D.L. n. 18/2021, i datori di lavoro del settore privato, con obbligo previdenziale presso le Gestioni dell’INPS (eccetto i datori di lavoro domestico), hanno diritto ad un rimborso forfettario per gli oneri sostenuti relativi ai propri lavoratori dipendenti non aventi diritto all’assicurazione economica di malattia presso l’INPS. In particolare, per ciascun anno solare, è riconosciuto il rimborso di euro 600,00 una tantum per ogni singolo lavoratore e solo nei casi in cui la prestazione lavorativa non possa essere svolta in smartworking (art. 26, comma 7 bis, D.L. n. 18/2020, convertito con modificazioni in L. n. 27/2020.

2. Congedi parentali (art. 9)

Ai lavoratori dipendenti con figli conviventi minori di anni 14, è consentito in alternativa all’altro genitore, astenersi dal lavoro beneficiando di un congedo straordinario per un periodo corrispondente in tutto o in parte alla:

– sospensione dell’attività didattica o educativa in presenza;
– all’infezione da COVID-19 del figlio;
– alla quarantena del figlio disposta dalla ASL.
Il diritto prescinde dall’età nel caso di figli con disabilità in situazione di gravità accertata.
Il congedo è retribuito con un’indennità pari al 50% della retribuzione e può essere fruito in modalità oraria o giornaliera.
È prevista la copertura con contribuzione figurativa.
Altri periodi di congedo parentale (artt. 32 e 33 D.Lgs. 151/2001) eventualmente già fruiti dai genitori a decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2021/2022, possono essere convertiti in congedo COVID-19 su domanda degli interessati e non saranno computati né indennizzati a titolo di congedo parentale.
In caso di figli di età compresa fra 14 e 16 anni, i genitori in alternativa tra loro, hanno diritto di astenersi dal lavoro senza corresponsione di retribuzione o indennità, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro. In questo caso non è prevista la copertura con contribuzione figurativa.
Per i giorni in cui un genitore fruisce del congedo oppure non svolge alcuna attività lavorativa o è sospeso dal lavoro, l’altro genitore non può fruire del medesimo congedo, salvo che sia genitore anche di altri figli minori di 14 anni avuti da altri soggetti che non stiano fruendo di alcuna delle stesse misure.

3. Disposizioni in materia di trattamenti di integrazione salariale (art. 11)

L’art. 11 comma 1 del Decreto in esame, garantisce ai datori di lavoro privati destinatari della cassa integrazione in deroga e dell’assegno ordinario (come individuati all’art. 8, comma 1, Decreto Sostegni, D.L. n. 41/2021, convertito con modificazioni in L. n. 69/2021), che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, la possibilità di presentare per il lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del presente decreto, domanda di integrazione salariale per una durata massima di 13 settimane nel periodo tra il 1° ottobre e il 31 dicembre.

Le tredici settimane dei trattamenti di cui al comma 1, sono riconosciute ai datori di lavoro ai quali sia stato gia’ interamente autorizzato il periodo di ventotto settimane di cui all’articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 41 del 2021, decorso il periodo autorizzato.
Il comma 2 del predetto art. invece, per le aziende rientranti nei settori delle industrie tessili, confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia, fabbricazione di articoli in pelle e simili (codici ATECO 13,14,15), che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, prevede la possibilità per le stesse di presentare per il lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del presente decreto, domanda di integrazione salariale per una durata massima di 9 settimane, sempre nel periodo tra il 1° ottobre e il 31 dicembre.
Le nove settimane di cui al comma 2, sono riconosciute ai predetti datori di lavoro decorso il periodo autorizzato.
In entrambi i casi sopra esposti, viene prevista l’erogazione gratuita del trattamento, con conseguente esonero dal versamento del contributo addizionale.

4. Divieto di licenziamento e casi di esonero (art. 11 co 7 e 8)

Per le aziende che presentano domanda si integrazione salariale ai sensi delle norme sopra citate, resta precluso, per tutto il periodo di fruizione del trattamento:
a) l’avvio di procedure di licenziamento collettivo di cui agli articoli 4, 5 e 24 della Legge 23 Luglio 1991, n. 223, restando altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto;
b) l’intimazione, indipendentemente dal numero di dipendenti, di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della Legge 15 Luglio 1966, n. 604, restando inoltre sospese le procedure in corso di cui all’art. 7 della stessa Legge.
Eventuali chiusure di rapporti di lavoro dunque, potranno essere effettuate solo nelle ipotesi eccezionali disciplinate dalla normativa previgente.
Pertanto, le sospensioni e le preclusioni di cui sopra non si applicano:
• nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa;
• nei casi di cessazione definitiva dell’attività dell’impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività;
• nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile;
• nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo.
A detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’art. 1 del D.lgs. n. 22/2015 (NASpI).
Sono altresì esclusi dal divieto i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione.
Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

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Lo Studio resta a disposizione per ogni ulteriore approfondimento.